domenica 31 gennaio 2010

Le Ricette di CARNEVALE

Oggi vi voglio proporre alcune ricette tipiche di "CARNEVALE" italiane:

CICERCHIATA

E’ una specialità tipica del Centro- Italia (Abruzzo, Umbria, Marche, Lazio); tra l’altro, la presenza del miele indica che si tratta di una preparazione molto antica.

STRUFFOLI
La risposta del Sud alla Cicerchiata è costituita dagli Struffoli Napoletani; all’apparenza il dolce sembra identico, ma le due
ricette presentano numerose differenze. Inoltre, il dolce napoletano viene guarnito con “cannulilli” e “diavulilli” colorati, quasi a voler significare l’innata allegria e il folclore tipici di questo popolo, ai quali, in origine, erano att ribuite proprietà energetiche.

CHIACCHIERE
Questa è forse la ricetta più semplice e la più “allegra” fra quelle dei dolcidi Carnevale, ciò nonostante è quella di maggiore successo. Tanto è vero che la si ritrova in tutt’Italia, sebbene con nomi diversi: in Friuli si chiamano Grostoli, in Emilia Sfrappole, in Veneto Galani, nelle Marche Frappe, Cenci in Toscana, Chiacchiere in Campania. La variante, nelle varie ricette regionali, è costituita dal marsala, o dal vino bianco, o dall’acquavite, o dal liquore all’anice.

CASTAGNOLE
Sono tipiche della gastronomia friulana durante il periodo di Carnevale. Gustose e morbide,
sono adatte anche ai bambini.

TORTELLI O RAVIOLI DOLCI
Sono cuscinetti di pasta ripieni di marmellata, di frutta secca, o, come nella ricetta che segue, di ricotta.

CAUSONE NAPOLETANO
Di fattura simile ai tortelli, arriva dalla Campania il “Cauzone”, che però presenta una variante alla ricetta davvero singolare e forse un po’
PICCANTE: il pecorino.

GRAFFE

KRAPFEN
Questa ricetta, forse la più antica, di tali dolci austriaci, proviene dal libro di gastronomia dell’ARTUSI, di cui ho una copia del fine ‘800.
Si sa che l’Artusi fa del cucinare e del mangiare una vera e propria arte, dispensando consigli raffinati e, allo stesso tempo, pratici.
Dei Krapfen ci dà una ricetta “gentile”, come egli stesso la definisce, che qui di seguito vi riporto in immagine scansionata del libro sopra citato.

ZEPPOLE
E’ un dolce che si ritrova nominato in antichi test, non solo di cucina, perfino in un “Privilegio”del Viceré di Napoli, Conte di Ripacorsa (siamo nella Napoli dell’800).
Si narra che il giorno di San Giuseppe, che si festeggia il 19 Marzo, i friggitori napoletani si esibivano pubblicamente nell’arte del
friggere le Zeppole davanti alla propria bottega, disponendovi tutto l’armamentario necessario. Si hanno varie ricette delle Zeppole. Ve ne propongo due diverse versioni: la prima senza ripieno e la seconda con ripieno di crema pasticciera.

ZEPPOLE SEMPLICI

ZEPPOLE BIGNÈ
Per concludere l’allegro carosello sui dolci tipici del Carnevale, vorrei, dulcis in fundo, terminare con una ricetta veramente originale e, appresso, con un aneddoto che ci provengono dalla città di Napoli.

LE ZEPPOLE DI IPPOLITO CAVALCANTI
( tratto da: Il grande libro della pasticceria Napoletana)

Le “Zeppole” Di Ippolito Cavalcanti

Miette ncoppa a lo ffuoco na cazzarola co meza carrafa d’acqua fresca, e no bicchieredevino janco, e quanno vide ch’accommenz’a fa lle campanelle, e sta p’ascì a bollere nce mine a poco a poco miezo ruotolo, o duje tierze de sciore fino, votanno sempe co lo laniaturo; e quanno1a pasta se scosta da tuorno a la cazzarola, allora è fatta, e la lieve mettennola ncoppa a lo tavolillo, co na sodonta d’uoglio; quanno è mezza fredda, che 1a può manià, la mine co lle mmane per farla schianà si pe caso nce fosse quacche pallottola de sciore: ne farraje tanta tortanelli come sono li zeppole, e le friarraje, o co l’uoglio, o co la nzogna, che veneno meglio, attiento che la tiella s’avesse da abbruscià; po co no spruoccolo appuntuto le pugnarraje pe farle squiglià, e farle veni vacante da dinto; l’accuonce dinto a lo piatto co zuccaro, e mele. Pe farle venì chiù tennere farraje la pasta na jurnata primma.

LE ZEPPOLE DEL DUCA
Si era alla vigilia di S. Giuseppe del 1967, l’anno in cui era preside dell’Istituto Professionale Alberghiero di Stato di Napoli il prof. Francesco Bruniroccia, Franz per gli amici, uomo dotato di affascinante personalità. Colto, con evidente attitudine alle pubbliche relazioni, scrupoloso osservante delle regole di galateo dettate da Monsignor Della Casa, egli riversava nel suo ruolo di uomo di scuola l'impronta di tutte quelle doti naturali che facevano di lui un diploma-tico mancato. A far da specchio a queste note caratteriali c'era il temperamento brillante e sempre disponibile del prof. Bruniroccia, il quale, detto fra noi, si compiaceva a cogliere tutte le occasioni possibili per far sfoggio della sua cultura e della sua sensibilità di gentiluomo in un mondo ancora non preso d’assalto dai mass media. Appena insediato nella presidenza di quel nuovo tipo di scuola che lo vestiva a pennello per la sua particolare organizzazione e finalità, egli senti il dovere di approfondire la sua conoscenza con quell'Ippolito Cavalcanti duca di Buonvicino al quale la scuola era stata intitolata. Molte cose conobbe di quell’illustre gastronomo buontempone, nato nel 1787 e morto a Napoli nel l860. Credette anche di scoprire delle affinità tra il Cavalcanti e quell'abile Ministro degli Esteri - considerato il più abile tra i ministri del suo tempo (tra la fine del 700 e i primi dell'800) - che fu Carlo Maurizio Talleyrand, diplomatico pieno di spirito d'iniziativa e di risorse, il quale si avvalse della gastronomia nei molti contatti importanti e difficili della sua vita di politico. La scoperta più sensazionale che fece il preside Bruniroccia fu che, in fondo in fondo, anch'egli somigliava un po’ all’uno e un po’ all’altro dei due grandi personaggi e gastronomi in questione. Fu così che s’innamorò di Ippolito Cavalcanti duca di Buonvicino e decise di onorarlo, facendolo conoscere bene anche agli allievi dell'istituto a cui non poteva essere toccato - e tutti se ne dovevano convincere -nome più felice. Pertanto la scuola fu pervasa da un fervore di interessi sulla vita del personag-gio e sulla pratica dei suoi consigli a tavola e delle sue ricette, anche di quelle non del tutto ortodosse. Fu appunto quest’ultimo particolare - ahinoi un po’ troppo azzardato - che fece correre all’appassionata crociata del Bruniroccia un brutto rischio. Raccontiamo un episodio che pochi ancora, tra gli allievi e gli insegnanti di allora, ricordano. Si era, dunque, alla vigilia di San Giuseppe, in uno di quegli anni in cui al santo venivano ancora riconosciuti gli onori di una festività scolastica. Per iniziativa del preside era stata organizzata dall’istituto Alberghie-ro di Napoli e da quello di Capri, sede coordinata, una manifestazione da tenersi nella Piazzetta di Capri in quella giornata. Baldacchino al centro della piazzetta, attrezzata con un banco-bar, un banco per impasto, un grosso fornello ed un padellone: questa la scenografia che, sotto l'insegna I.P.A.S., doveva consentire agli allievi barman ed a quelli del corso di cucina di offrire ai turisti ed ai cittadini di Capri, in quella tiepida giornata primaverile e in una pubblica esercitazione, cocktails e zeppole di S. Giuseppe. Queste ultime preparate ovviamente nella più fedele osservanza della ricetta di Ippolito Cavalcanti. Tutto era stato dovutamente propagan-dato e inviti ufficiali erano giunti sui tavoli di sindaci e assessori nonché sulle scrivanie dei direttori degli alberghi capresi, con preghiera di divulgare la notizia della manifestazione ai loro clienti. Così che, quando gli allievi furono già al loro posto di... combattimento (è proprio il caso di dirlo), la Piazzetta di Capri era già gremita di una variegata folla divertita e incurio-sita dall’originale atto di promozione turistica. Ci furono gustosi e ben guarniti cocktails per tutti e poi... zeppole ancora fumanti distribuite da altri allievi di sala e bar in perfetta divisa di commis. La distribuzione aveva soddisfatto appena La metà degli intervenuti quando cominciò, come una furiosa grandinata a ciel sereno, un primo lancio di zeppole contro il palco sul quale era il presidente Bruniroccia con i professori istruttori e gli allievi indaffarati nell’operazione di quelle ormai definite “le zeppole del Duca”. Bastò il primo lancio per far giungere in breve tempo sui malcapitati rappresentanti dell'I.P.A:S. di Napoli e di Capri una vera gragnola di palline dure come sassi tanto da farli correre verso i più immediati e sicuri ripari. Ma... quelli che a prima prova d’urto sembravano sassi non erano altro che le famose zeppole preparate con fedeltà certosina secondo lei ricetta di Ippolito Cavalcanti Duca di Buonvicino. Così come aveva voluto il preside Franz Bruniroccia il quale, inspiegabilmente esultante ed eroicamente esposto ai tiri dolenti, cominciò ad arringare la folla. Sapeva d'aver vinto. Nella dimostrazione data egli non voleva soddisfare il gusto dei palati di oggi, bensì intendeva portare a conoscenza il fine per cui Cavalcanti aveva ideato la ricetta. La pasta doveva risultare dura per berci sopra l'ultimo bicchiere di buon vino da dessert e le zeppole per essere perfette dovevano assorbire, in proporzioni tanto vino quanto era la loro quantità ingerita alla fine di un pasto o di un festeggiamento. Nonostante il simpatico tafferuglio, il preside riuscì a spiegare tutto questo alla folla attenta dei forestieri e dei capresi. La sue forbita disquisizione sul Cavalcanti fu quanto mai ampia e sottile e dette tempo al bravo chef Salvatore De Biase ed ai suoi allievi di riprendere a friggere le zeppole, ma questa volta, di quelle che noi conosciamo e apprezziamo per la lor deliziosa morbidezza. Partirono dal palco, riassestato in breve tempo, grandi vassoi di vere, fragranti zeppole di San Giuseppe, abbondantemente spolverate di zucchero. Scrosciarono gli applausi. Lo spirito culturale della manifestazione era stato colto in pieno e Bruniroccia vide, appagato, che la sue opera era stata coronata da successo.

martedì 26 gennaio 2010

Maschere da colorare

Maschere da colorare ed indossare:
MASCHERA 13
MASCHERA 14
MASCHERA 15
MASCHERA 16
MASCHERA 17
MASCHERA 18










lunedì 25 gennaio 2010

Windows Color
Letteralmente tradotto, Windows Color, significa " Colori finestra", infatti si utilizzano per decorare finestre e vetrate, con la possibilità di attaccare e staccare i disegni realizzati.
Mettete il vostro disegno sotto la pellicola trasparente o una lastra di vetro e verniciate i profili usando direttamente la bottiglietta di colore.
Dopo circa 1-2 ore i profili saranno asciutti al tatto e potranno essere verniciati all'interno sempre usando direttamente la bottiglietta del colore.

Passate 24 ore potrete finalmente staccare l'immagine che avete creato dalla pellicola (o dal vetro) ed attaccarla in qualche altro punto (per esempio una finestra). Questa operazione potrà essere effettuata parecchie altre volte.

domenica 24 gennaio 2010

Le maschere della tradizione
Pantalone, Pulcinella, Arlecchino e Colombina: ma chi sono veramente? Le maschere tipiche del carnevale hanno origini, caratteri e storie diverse. C'è la maschera allegra e burlona, quella brontolona, quella maliziosa e quella avara, molte delle quali sono riprese nel teatro del seicento e del settecento, in commedie brillanti. Queste sono le maschere tipiche e le loro brevi storie, per travestirsi secondo la tradizione!


Arlecchino
Nasce a Bergamo, con un vestito a rombi colorati e brillanti; ha una maschera nera sugli occhi, una borsa di cuoio legata alla cintura e una spatola di legno. Ha un carattere stravagante, è scanzonato, ma furbo. È un servo lazzarone e truffaldino, in perenne litigio col suo padrone

Colombina
È la compagna di Arlecchino: è una maschera veneziana, con un vestito a strisce azzurre e bianche e una berretta a balze. Ha un carattere un pò civettuolo e malizioso, è allegra e spensierata. È l'unica maschera femminile.

Pulcinella
È la maschera di Napoli. È un servitore vestito con un costume bianco fatto di un camicione e pantaloni, un cappello a cono e una maschera nera sugli occhi. Gli piace mangiare e bere, stare in ozio e divertirsi, è furbo e impertinente. Viene spesso preso a bastonate, però è simpatico a tutti.

Dottor Balanzone
Questo dottorone viene da Bologna, ammirato da tutte le altre maschere per la sua retorica, che però risulta pomposa e sgangherata, piena di frasi, sentenze e paroloni. Indossa pantaloni e camicia nera, porta un cappello a tese larghe e sottobraccio ha sempre un librone.

Pantalone
Altra maschera veneziana, il mercante pantalone veste di rosso, con mantello e pantofole nere; porta una maschera e una cuffia nera. Ha un carattere quasi insopportabile, è rompiscatole, avaro, brontolone.

Brighella
Come Arlecchino, anche Brighella ha origini bergamasche. Il vestito chiaro è decorato di verde, così come il mantello, e porta cappello e maschera. Il suo nome deriva dal suo carattere: è un attaccabrighe, sempre pronto all'insolenza e allo scherzo.

Gianduja
Originario di Torino, Gianduja veste con una giacca marrone, pantaloni verdi, cappello a tricorno, un panciotto giallo, le calze rosse. Porta con sé un ombrello ed indossa una parrucca, con un codino girato all'insù. È un amante del vino e della vita allegra, è buono e galante.

Meneghino
Questa è la maschera milanese: indossa una giacca rossa e marrone, i calzoni verdi al ginocchio, calze a righe bianche e rosse, un tricorno in testa, un ombrello rosa. Il suo nome è il diminutivo di Domenighin, Domenico.

Stenterello
Stenterello vien dalla Toscana, indossa una giacca blu, un panciotto giallo, pantaloni corti scuri; porta un paio di calze spaiate, una rossa e una a righe bianche e azzurre, un cappello in testa e la parrucca col codino. È generoso e saggio.

Pierrot
Larghi pantaloni di lucida seta bianca, ampio colletto, lunga casacca guarnita di grossi bottoni neri, papalina sul capo, il volto pallido. la piccola bocca rossa e un'espressione triste: così siamo abituati a vedere Pierrot, diventato il simbolo dell'innamorato malinconico e dolce. La pigrizia gli impedisce di muoversi come abitualmente fanno gli altri zani della Commedia; é sicuramente il più intelligente dei servi, svelto nel linguaggio, critica gli errori dei padroni e spesso finge di non capire i loro ordini, anzi li esegue al contrario, non per stupidità. ma perché li ritiene sbagliati. Quando le situazioni si ingarbugliano, " lasciate fare a me!" afferma, non perché sia un presuntuoso, ma perché é capace e pieno di buon senso. E' furbo, ma sentimentale; l'unico personaggio che a un piatto di minestra, preferisce una romantica serenata, eseguita sulla mandola, sotto le finestre della sua bella. Forse anche per questa ragione é pallido e languido e, spesso una lacrima gli scende sul viso.


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Carnevele

Quanti di voi conoscono realmente le fondamenta del carnevale?

Le origini del carnevale

Certamente non è facile indagare sulle origini di una festa come il carnevale, le cui tracce storiche nessuno ha potuto o voluto realmente conservare. Non è possibile nemmeno fare luce sui diversi aspetti che ne caratterizzano i festeggiamenti, in quanto, nel corso dei secoli e in realtà geografiche diverse, il carnevale si è arricchito di sfumature sempre nuove.
L'etimologia del termine "carnevale" risale, con ogni probabilità, al latino carnem levare, espressione con cui nel Medioevo si indicava la prescrizione ecclesiastica di astenersi dal mangiare carne a partire dal primo giorno di Quaresima, vale a dire dal giorno successivo alla fine del carnevale, sino al "giovedì santo" prima della Pasqua. Il carnevale infatti, nel calendario liturgico cattolico-romano si colloca necessariamente tra l'Epifania (6 gennaio) e la Quaresima. Le prime testimonianze documentarie del carnevale risalgono ad epoca medievale (sin dall'VIII sec. ca.) e parlano di una festa caratterizzata da uno sregolato godimento di cibi, bevande e piaceri sensuali. Per tutto il periodo si sovvertiva l'ordine sociale vigente e si scambiavano i ruoli soliti, nascondendo la vecchia identità dietro delle maschere.

I festeggiamenti culminavano solitamente con il processo, la condanna, la lettura del testamento, la morte e il funerale di un fantoccio, che rappresentava allo stesso tempo sia il sovrano di un auspicato e mai pago mondo di "cuccagna", sia il capro espiatorio dei mali dell'anno passato. La fine violenta del fantoccio poneva termine al periodo degli sfrenati festeggiamenti e costituiva un augurio per il nuovo anno in corso. Nelle varie manifestazioni carnevalesche è possibile individuare un denominatore comune: la propiziazione e il rinnovamento della fecondità, in particolare della terra, attraverso l'esorcismo della morte. Il periodo carnevalesco coincide più o meno con l'inizio dell'anno agricolo, un chiaro indizio che permette di collegare direttamente il carnevale alle feste greche di impronta dionisiaca (le feste in onore di Dionisio, dio greco del vino, caratterizzate dal raggiungimento di uno stato di ebbrezza ed esaltazione entusiastica, che sfociavano in vere e proprie orge), e a quelle romane dei Saturnali (solenne festa religiosa, che si celebrava in onore del dio Saturno e durante la quale si tenevano cerimonie religiose di carattere sfrenato e orgiastico, che prevedevano tra l'altro la temporanea sospensione del rapporto servo-padrone). Lo stretto rapporto esistente tra queste feste e alcuni costumi del carnevale è evidente, anche se ignorato dai più. In tempi recenti gli storici hanno insistito maggiormente sull'origine agraria e sociale del carnevale. Esso è irrisione dell'ordine stabilito e capovolgimento autorizzato, limitato e controllato nel tempo e nello spazio dall'autorità costituita. In altre parole la festa del carnevale era vista dalle classi sociali più agiate come un'ottima valvola di sfogo concessa ai meno abbienti allo scopo di garantirsi il protrarsi dei propri privilegi. Non meno interessante è l'origine e la valenza demoniaca di alcune tra le maschere carnevalesche più famose e antiche, come quella nera sul volto di Arlecchino o quella bipartita (bianca e nera) di Pulcinella. Studi sul significato psicologico della volontà di indossare una maschera hanno mostrato che l'irresistibile attrazione esercitata dal carnevale sta proprio nella possibilità di smettere di essere se stessi per assumere le sembianze e il comportamento della maschera. Questa scelta, quando non è condizionata da fattori economici, rivela interessanti, e talvolta inaspettati, aspetti psicologici di una persona. Queste brevi note storiche, lungi dall'esaurire l'argomento, vogliono far riflettere il lettore sulla reale origine del carnevale e sull'impossibilità per ogni cristiano, separato dalle usanze del mondo e consacrato a Dio, di lasciarsi coinvolgere sia pure dal minore di questi aspetti.


Il Carnevale visto come manifestazione sociale

Il Carnevale è la celebrazione del travestimento: di quella promiscuità ribelle che sovverte l'ordine naturale e morale stabilito da Dio: "La donna non si vestirà da uomo, e l'uomo non si vestirà da donna poiché il Signore, il tuo Dio, detesta chiunque fa queste cose" (De.22:5). La condanna è estesa ad ogni licenza dalla propria identità spirituale e dalle responsabilità etiche (So.1:89).

Il Carnevale è il riconoscimento di quella ambiguità che, confondendo realtà e apparenza, verità e finzione, mira ad offuscare quella lucidità e giusta inibizione necessarie ad onorare Dio (Is.5:20,22; Ro.13:12-14). Per diversi credenti basta un disincantato: "non c'è nulla di male..." per rendere implicita l'approvazione di Dio in faccende che non Lo riguarderebbero. Il Carnevale è espressione di una allegrezza abbinata alla volgarità, in contrasto con la gioia cristiana (Ro.14:17, Ef.5:3,4), di una satira dissacratoria completamente in contrasto con la Parola di Dio, che non insegna lo scherno delle autorità, bensì a pregare per esse (I Ti.2:12). Il Carnevale è l'esaltazione sfrenata del godimento fine a sé stesso; tale festa costituisce, tuttavia, più che un'innocente divertimento, uno dei tanti "diversivi" che, con la scusa di fugare noia, tristezza e desideri repressi, allontana le coscienze dalla sana preoccupazione per la condizione dell'anima dinanzi al Giudizio divino (Is.30:9-11; Lu.16:19,25; I Pi.4:3,7).


Il Carnevale visto quale evento religioso

Il Carnevale ha perduto nel tempo certe punte di pura stregoneria, ma sotto il manto della baldoria "scaccia pensieri", la sostanza dell'esorcismo "scaccia spiriti" non è scomparsa; esso è comunque una ricorrenza pagana, con tutto il suo fardello di contraddizioni inconciliabili con lo spirito e l'opera di Cristo (II Co.6:14-16). Il "carnevale religioso" rivisita un rituale che disonora l'unica propiziazione riconosciuta da Dio (I Gv.2:12). La simbologia cattolica delle ceneri ripropone una prescrizione mosaica superata dall'efficacia purificatoria del sacrificio di Gesù Cristo (Eb.9:11-14). Il Carnevale insegna un falso riscatto spirituale, promuovendo il peccato volontario in prospettiva di un "pentimento programmato".